GINA PREVITERA – TRADIZIONE, CULTURA E ARTE NEL CASTELLO DI MILAZZO

GINA PREVITERATRADIZIONE, CULTURA E ARTE NEL CASTELLO DI MILAZZO

 

 

 

 

 

 

 

Il ritorno al Castello di Milazzo

Mantano è tornato al Castello di Milazzo il 15 Maggio scorso.    

In una giornata umida ha ripercorso l’imponenza della Fortezza e la bellezza del paesaggio marino, su cui si staglia la rocca. Era una giornata umida sì, ma la suggestione e i colori ne venivano solo trasformati e impreziositi, ammorbiditi com’erano dalle tinte alquanto sfumate e dai lievi contrasti, mentre qualche nuvola, diradandosi, creava uno squarcio, attraverso cui la luminosità vittoriosa dava risalto qua e là allo smalto di isolati angoli di terra.

Giunti ormai vicini al convento delle Benedettine, ecco, accogliente e sorridente, la figura del maestro Pracanica, il Kuntastorie che in quel convento non si stanca di raccontare, mimare e abbellire tantissime leggende, storie e tradizioni per centinaia di visitatori, adulti e bambini, provenienti da ogni parte del mondo.

La collaborazione fra marito e moglie

Nel laboratorio, all’interno del convento, egli lavora assieme alla moglie, la preziosa collaboratrice che gli sta a fianco nella vita quotidiana e nell’arte.

Gina, questo il suo nome, mite e dolce signora, ma al contempo valida e competente artigiana/artista, è l’insostituibile supporto e completamento del lavoro di Nino, anche lui artigiano, oltre che scrittore e attore.

Ogni opera, dunque, è il risultato della collaborazione fra marito e moglie: generalmente è Nino a preparare tavole e vari altri articoli, ma è Gina a completare quel lavoro di base con incisioni, pitture e intarsi, spesso grazie ad un lungo e appassionato lavoro:

 

Gina lavora con abilità e con grande passione

Gina lavora con abilità e con grande passione. Una passione che non si esaurisce nel tempo, ma che sembra rinnovarsi in forza e vigore dopo la realizzazione di ogni manufatto.

E’ grazie a lei, infatti, se la Bottega d’Arte è una delle migliori cento botteghe italiane (Corriere della Sera, 28 luglio 2016).

L’entusiasmo la anima costantemente, oltrepassa la stanchezza, ne annulla gli effetti negativi e genera costantemente uno studio filologico sugli stessi materiali antichi, nel desiderio di rendere l’opera più vicina possibile a quella autentica, alla verità storica, alle tecniche originali.

 

Strumenti di uso antico e materiali di riciclo

Per il suo lavoro adopera strumenti di uso antico, ma anche materiali di riciclo: dipinge con polveri ottenute da elementi naturali e vegetali e la sua tecnica risale agli antichi Egizi; la lucidatura avviene con pietra d’agata e il risultato è duraturo nel tempo, al pari dei disegni e delle decorazioni che ci sono giunti dalla civiltà egizia. Come i vecchi falegnami, costruisce cornici in legno senza usare chiodi, e la fervida fantasia crea intarsi e abbellimenti, rinnovando forme e misure degli scarti di cuoio, di legno e di oggetti ormai in disuso, i quali acquistano nuova vita e nuovo valore.

Da antiche basi in cartone, su cui poggiavano le famose “cassate” siciliane, nascono supporti per diversi tipi di realizzazioni:

 

Gina e la storia della Sicilia

Su di essi Gina schematizza sapientemente storie e simboli, su cui trascorre la storia della Sicilia, raccontata dai popoli su di essi rappresentati, dai simboli disegnati, dai fatti esposti, mentre il marito se ne serve per drammatizzare storie, favole e miti. Gina e Nino difendono così i valori originali della Sicilia e raccontano le sue vicende e i suoi abitanti servendosi di tutto ciò che producono; infatti, – afferma Nino – “Noi possiamo raccontare la Sicilia attraverso i simboli, i popoli, attraverso i pupi, attraverso i dipinti, attraverso i tablet romani, i giochi … ”.

E la Sicilia diventa una bella donna al centro del Mediterraneo avvolta da mille profumi inebrianti, riccamente ornata dai colori dei suoi fiori e dalla dolcezza dei suoi frutti, desiderata e corteggiata da tutti i popoli che sin dalla preistoria ne sono stati attratti. La società siciliana è matriarcale e la Madre Sicilia ha raccolto ogni seme lasciato da ciascun popolo, per farlo germogliare e per ottenerne cultura

 

Alcune realizzazioni con materiale riciclato

Con materiale riciclato, fra le mani di Gina spuntano giochi egiziani:

ritorna il “tablet” romano, come lo chiama scherzosamente Nino:

nascono giochi e ricordini attuali:

ma anche oggetti di uso comune, come espositori per monete e portapenne:

riproduzioni di particolari architettonici:

quadri, cornici e molto altro:

 

Arte, cultura, modestia … e umanità

Nei locali in cui svolgono la loro attività i coniugi Pracanica, si assiste giornalmente a eventi teatrali culturalmente significativi e lì Mantano ha incontrato capolavori di scultura, restauro, pittura, lavorazione del cuoio; ha conosciuto la modestia di Gina e la sua semplicità, la sua creatività e la grande volontà che la anima.

Lei è artista da sempre: se ne è resa conto da ragazzina. All’età di tredici anni – ha raccontato – ha aiutato la sorella in alcuni lavori scolastici: il suo intervento è stato fantastico e ha suscitato la gratitudine della sorella e l’ammirazione di quanti hanno avuto modo di osservarne i risultati.

A quattordici anni collaborava già in un atelier, pur non partecipando a mostre, in quanto molto giovane.

Alla creatività, all’abilità manuale e alla continua elaborazione della tecnica, Gina unisce grandi doti umane e la capacità di trasfondere, soprattutto nelle immagini prodotte, la vita interiore che la anima, dando agli sguardi delle immagini realizzate un’espressività intensa e profondamente spirituale. Particolare il suo interesse per il restauro delle icone bizantine

 

 

Ma i materiali usati, purtroppo, non sono più uguali a quelli di un tempo

 

Il restauro

Gina si applica con altrettanta cura in numerosi altri lavori di restauro, sfruttando la competenza e l’esperienza acquisite nel tempo. Fra i tanti lavori su cornici dell’800 e dipinti, riportiamo il recupero di una Madonnina (Maria Bambina), caduta a terra durante una processione, e i restauri dei vetri dipinti, appartenenti ad una collezione di Bernabò Brea:

Gina ha una grande umanità – dicevamo – un’umanità che emerge nelle opere, certo, ma anche nella quotidianità della sua vita e che sa far convivere con l’attività di artigiana/artista, nonché collaboratrice del marito.

Si direbbe che l’esistenza dell’uno non potrebbe essere senza quella dell’altro.

L’estro, l’entusiasmo e ogni attività pratica dell’uno trovano riscontro nella laboriosità, nella creatività, nella modestia, nella forza volitiva dell’altra.

E’ stimata e amata da lui che ne elogia la fermezza unita a dolcezza, serenità e saggezza; è adorata dalle figlie, grate per le sue amorevoli cure e per i consigli e gli insegnamenti ricevuti nelle varie tappe della loro giovane vita e che ancora continuano a ricevere; è ammirata e tenuta in gran conto da quanti l’hanno conosciuta.

In passato, ha trasferito il suo laboratorio in un angolo della casa, dove, con maggior serenità e soddisfazione, ha potuto assolvere il suo compito di moglie e madre di bimbe piccole, continuando a realizzarsi come restauratrice competente di opere di grande valore e come artista/artigiana o “Magistra Artis”, come meglio viene definita da Sergio Todesco ( N. Pracanica, “Le savoir faire” di Gina, p. 27).

“La casa governata da Gina è divenuta nel tempo un tempio sacro.

Ha preso forma e si è adattata alle esigenze della evoluzione della famiglia.

Così, per seguire meglio le figlie, Gina ha preferito trasferire a casa il suo laboratorio. Ne è risultata una casa d’artista; ma anche un luogo di pace e serenità, con spazi per tutti i componenti della famiglia e per l’accoglienza degli ospiti.” (N. Pracanica, “Le savoir faire” di Gina, p. 19)

 

La speranza di Gina

Il desiderio più grande che le vive dentro il cuore, è quello di trasmettere ai giovani le sue conoscenze e, in particolare, il suo entusiasmo. Hanno bisogno di entusiasmarsi, di credere, di voler realizzare, per vivere e crescere bene; hanno bisogno di imparare a fare, a dare e a condividere – lo dice con convinzione e cerca di metterlo in pratica, insegnando nel suo laboratorio.

 

 

L’attività didattica

Oltre a dirigere assieme al marito un Centro d’Arte presso il Castello di Milazzo, dove l’abbiamo incontrata, “… per tre anni, … , nella affascinante sede del Castello di Montalbano Elicona, Gina ha diretto (in collaborazione col marito) una Scuola d’Arte, su progetto e fondi della Comunità Europea e ha realizzato un museo didattico di strumenti musicali. … (N. Pracanica, “Le savoir faire” di Gina, p. 18).

Di seguito una piccola dimostrazione di strumenti musicali nati dal lavoro collaborativo di Nino e di Gina:

 

 

“Le savoir faire” di Gina

Nino ha dedicato alla moglie il libriccino “Le savoir faire” di Gina, di cui abbiamo letto sopra qualche saggio e che – dice l’autore– non riesce a descriverne pienamente le qualità:

“Queste pagine non potranno mai descrivere la preziosità di Gina, le sue capacità, il suo amore, la sua semplicità, il valore del suo sorriso, le sue qualità artistiche-artigianali di restauratrice, la sua dedizione alla famiglia, che lei ha servito e amato con rarissima sensibilità, accortezza, delicatezza e costanza. … Gina è una creatura delicata; bisogna accostarsi a lei con molta accortezza e grande rispetto, nel tentativo di riuscire a percepire le sue immense doti … Da Gina si impara vedendola all’opera e in azione … nei silenzi della sua infinita compostezza, bellezza e spiritualità” (N. Pracanica, “Le savoir faire” di Gina, pp.5-6).

La stessa attenzione per l’antico e per la tradizione, emerge nella vita privata della donna: “Gina ha mantenuto sempre vive alcune importanti tradizioni di famiglia. Fra tutte spicca quella della cucina araba.

Ella custodisce … molte ricette che realizza con lo stesso amore con cui affronta la vita quotidiana e il suo lavoro.” (N. Pracanica, “Le savoir faire” di Gina, p. 21)

 

I valori comunicati dallo stile di vita

E, se è vero che entrambi tendono a far conoscere storia e realtà siciliane, se intendono ricercare costantemente la verità storica e filologica in ogni espressione artistica, informandosi, studiando, indagando, se ancora questa ricostruzione è il sentiero su cui camminano e se il loro fine ultimo è quello di consegnarla ai giovani e ai giovanissimi, come loro personale “contributo alla società” e come testimone da trasmettere ai pronipoti, è anche vero che a tutto ciò vanno aggiunti altri importantissimi valori comunicati dal loro stile di vita: la condivisione gratuita del sapere – bene inestimabile –, la consapevolezza di potersi migliorare interagendo l’uno con l’altro, in un continuo scambio di esperienze, contenuti e ricchezza spirituale, la consapevolezza che uguaglianze e diversità sono complementari fra loro. Nino confessa con semplicità e con forza l’importanza della presenza di Gina nella sua vita di uomo e di artista. In Gina considera le doti che l’hanno conquistato quando l’ha conosciuta e durante tutti i momenti storici e spirituali della sua esistenza; quelle doti che l’hanno aiutato a “crescere”, ad agire … a vivere la sua vita. Gina, tuttavia, diventa anche un simbolo: il simbolo di tutte le donne che possono essere faro e sostegno nel cammino dell’Uomo e dell’Umanità. La donna è il fondamento e la ragione della società: lei accoglie, elabora, produce, preserva e conserva; dà la vita materiale e custodisce la tradizione con il suo lavoro, come dicono entrambi.

 

Il racconto delle Gelsominare

Ed è con un omaggio ad una particolare categoria di donne che si conclude quello che possiamo definire un incontro piacevole per la pacatezza, la cordialità, la signorilità che l’ha contraddistinto, ma parimenti arricchente per l’esperienza, la saggezza e la cultura che ha trasmesso.

Riportiamo di seguito il racconto delle “Gelsominare”, giovani donne e madri di famiglia che nella Piana di Milazzo raccoglievano i fiori dei gelsomini per le grandi industrie di profumi italiane e straniere. La loro condizione era davvero misera: esse lavoravano moltissime ore, curve, spesso scalze. La ricompensa ricevuta era irrisoria e la salute compromessa. Spesso la pianta dei loro piedi era infestata da vermi con sofferenze inaudite. Il Prof. Pracanica, padre del nostro Kuntastorie, le curava amorevolmente e forniva loro tutti i consigli necessari.

Nel messinese, a strapiombo sul mare, si erge il promontorio del Tindari, su cui sorge il Santuario della Madonna Nera.

Si tratta di una statua in legno di cedro del Libano che rappresenta la Madonna con il bambino.

Giunta dall’Oriente, nascosta nella stiva di una nave, e abbandonata sulla spiaggia ai piedi del promontorio, – come narra una fra le più famose leggende locali – fu raccolta e custodita dai pescatori del posto.

Per tradizione, al Santuario del Tindari si andava e si va tuttora anche semplicemente come forma di penitenza o per chiedere una grazia alla Madonna o ancora per assolvere un voto. C’erano dei percorsi stabiliti che abbreviavano la strada, ma proprio per questo erano irti e scoscesi; gli ultimi cento metri della salita venivano fatti in ginocchio.

Fra i fedeli si trovavano un tempo tante povere donne che lavoravano in campagna, al mare e appunto nelle gelsominare.

Il racconto riportato è dedicato a queste donne, devote della Madonna Nera, fiduciose di essere comprese da Lei che, abbandonata sulla spiaggia, era stata raccolta e protetta da semplici pescatori. Emerge delicato, nella lirica, il ricordo affettuoso di una donna molto avanti negli anni.

Pulita, curata e linda nell’abbigliamento caratteristico della sua umile condizione, la vecchietta si rende ancora utile con quello che ancora può fare: dar da mangiare ai colombi …

La composizione, in dialetto, è opera dello stesso Nino, figlio del bravo medico che, con competenza e umanità, le ha curate; testimone oculare per altro delle piaghe delle “Gelsominare”.

Ascoltiamo la voce del poeta e del suo tamburello che esprime il ritmo del suo cuore (Questo è il ritmo del mio cuore – egli spiega):

 

 

© Antonina Orlando – Luciano Di Muro 05 Giugno 2019

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