TRA PASSATO E PRESENTE (La bisnonna che vide Garibaldi )

TRA PASSATO E PRESENTE

(La bisnonna che vide Garibaldi)

 

Ancora in molti sulla spiaggia, nel magico tramonto: alcuni a divertirsi dentro l’acqua, fra il riverbero del rosa che variegava suggestivo le trasparenze azzurre del cielo e si scioglieva nel violetto e nell’indaco dell’orizzonte; altri sulla sabbia tiepida, infervorati dietro la rete della pallavolo; altri, asciugamano in spalla, con ombrelloni, borse e piccole sdraio, sulla via del ritorno, seguendo la scia luminosa degli ultimi raggi di sole sul dorato della sabbia, sul verde vivace delle foglie e dell’erba, sui fiori intensamente variopinti e smaglianti.

Tutto, intorno, brulicava di vita, suoni, profumi.

Dal lato del mare, il recente susseguirsi di nuovi piccoli locali, colorati e turistici, dall’aria tropicale, e la loro musica allegra e decisamente ritmata. Di fronte alla spiaggia, sul lato opposto della strada, varie strutture ricettive, invece delle casette semplici ed essenziali della gente modesta di molti anni prima. Esse avevano un aspetto moderno e pittoresco al contempo e mostravano la spontanea e doverosa accoglienza di una volta. Ai tavoli dei bar, l’inusuale professionalità del personale, era mitigata dalle maniere cordiali e semplici dell’antica abitudine paesana, e lasciava spazio considerevole a un fare genuino e confidenziale, quando si avvicinava alla clientela locale e dei dintorni, irrigidendosi in un atteggiamento quanto più possibile compìto, allorché riceveva le ordinazioni dell’avventore “forestiero”.

I noti profumi della gastronomia tradizionale pervadevano l’aria, mentre persone mai viste, discorrevano e scherzavano nei modi e nella parlata che le erano familiari.

Risalendo la vicina strada, all’incrocio con la via del mare, pur essa ammodernata, Anna arrivò dapprima alla Casa del Mal Essere, dove, come da piante selvatiche, ricoperte di marzapane, ma intrise di veleno, germogliava quanto serviva a generare malintesi, liti e rancori fra molti malcapitati.

Poi, proseguendo un poco verso sud, in direzione di quella che fu un tempo la stazione ferroviaria, e attraversando l’importante arteria viaria che percorre il paese da est a ovest, raggiunse il vecchio rudere di una bella e signorile villa liberty. Un rudere, come tanti, ricco di storie e vicissitudini ora liete, ora tristi.

La fabbrica originale del palazzo era ampia e molto articolata. La facciata correva lungo la via principale, mentre la parte posteriore guardava verso la ferrovia ormai silenziosa, ma frequentata un tempo da locomotive a vapore, poi da “littorine” e, in ultimo, da treni via via più moderni e veloci.

Le ali del palazzo, pur deboli e abbandonate, continuavano ad abbracciare il cortile non più festoso, colorato e alacre, ma trascurato e senza vita attorno al suo grande vecchio pozzo, a cui molti, per diritto, potevano attingere, sia zii e cugini, i cui appartamenti si affacciavano nel cortile stesso, sia parenti non abitanti più in paese.

Racchiuse dalla cinta muraria, ancora in condizioni dignitose, le stanze interne, ridotte ad un ammasso di macerie ed esposte ad ogni sorta di intemperie, alla presenza di Anna si rianimarono e tornarono ad essere belle e luminose, frequentate dalla vita passata.

Comparve allora l’esile figura di una donna piccolina di statura e oltremodo anziana. Anna riconobbe in essa la sua bisnonna ultracentenaria, così come quando i suoi sensi ne presero coscienza per la prima volta.

Era avvolta dai vestiti lunghi e scuri con i quali la ricordava; la nuvola ariosa e disordinata dei bianchi capelli crespi e ribelli formava, come sempre, un gomitolo gonfio e aggrovigliato sul capo e attorno al volto scarno e serio. Si aggirava lenta per la camera, tastando qua e là muri e mobili, per indovinare il percorso che i suoi occhi appannati non le indicavano più. Accanto le stava di continuo una giovane donna premurosa, pronta a guidarla e a soccorrerla nel momento del bisogno.

I primi tre anni e mezzo della vita di Anna coincisero con gli ultimi tre anni e mezzo della vita di nonna Sara; eppure, la ricordava bene Anna e sapeva tante cose di lei.

Figlia del sindaco di un paesino vicino, ancora bambina, vide Garibaldi, sfidando il divieto paterno, mirato a proteggerla.

Mentre il padre, infatti, nella sua veste di sindaco, si recava a ricevere il “liberatore”, portatore di giustizia e di nuovi stili di vita, lei trovò il modo di uscire di casa e, indossando un vestitino bianco, si mescolò alla folla, radunatasi per l’occasione.

“Era biondo e bello” – ripeté sovente in seguito prima ai figli, poi ai nipoti.

Divenuta anziana e cieca, la vecchietta dovette fare i conti con la nuova tecnologia che avanzava ed entrava nelle case delle famiglie comuni. Così si ritrovò a meravigliarsi tutte le volte che sentiva una voce provenire da “quella scatola”, come chiamava la radio. Parlava a lungo l’uomo dentro la “scatola”, e ad essa nonna Sara si avvicinava, comprensiva, appoggiandovi sopra le mani:

“Poveretto, come fa a stare qua dentro?” – chiedeva.

E subito dopo soggiungeva – “Chissà come si stanca a parlare così tanto! Dategli un bicchiere d’acqua, poverino!!! …”.

Fra i brandelli di fatti ed eventi che spuntavano qua e là, sfilacciandosi e ricomponendosi, sopravvenne la ricorrenza dei Defunti.

Nella sala da pranzo la famiglia si sta preparando a recitare il Santo Rosario per le loro anime: c’è anche nonna Sara.  

Sul tavolo ovale è già stato posto un prezioso centrino di filo bianco, con eleganti disegni intagliati e ricamati al centro e ai bordi. Su di esso vengono ora disposte le foto in bianco e nero dei cari morti. Dinanzi a loro brillerà la tremula fiammella della “lampa”, uno stoppino di cera bianca acceso e posto dentro un anellino di metallo, assicurato a tre piccoli cubi di sughero. La metà inferiore dello stoppino, fuoriuscendo dall’anello su cui poggia, pesca il nutrimento necessario alla combustione, immergendosi nell’olio di oliva che galleggia sull’acqua. Questa riempie i due terzi di un antico bicchiere di vetro, trasparente e un po’ segnato dagli anni.

Nella stanza sono pronte sedie e poltroncine: vi prenderanno posto uomini e donne. Le donne formano tre gruppi: il primo delle più anziane, in abiti molto scuri o neri; il secondo delle più giovani, anche loro vestite molto sobriamente; infine il terzo che comprende le bambine, più libere nella scelta dei colori indossati, ma tenute ad un comportamento serio e ad un tono di voce accuratamente basso e controllato. 

Quando tutto è silenzio, la preghiera ha inizio: Pater noster …, Ave Maria …, Requiem aeternam, … risuonano nella stanza in un sommesso mormorio. I piccoli ripetono le parole suggerite sottovoce dall’adulto vicino. Tutti sembrano personaggi proiettati su un vecchio schermo cinematografico, in un’atmosfera rarefatta. Un vecchio film che poco alla volta va svanendo, per lasciare affiorare altre immagini.

Oggi nonna Sara, all’età di quasi centotré anni, sta per lasciare la sua vita terrena. Alla bimba viene fatto divieto di entrare in camera, perché la nonna sta male. E, tuttavia, lei, silenziosa e furtiva, trova modo di farsi largo e, a piccoli passi, entra nella stanza e osserva: c’è tanto movimento, un andirivieni concitato che la colpisce. Tutti si intendono con pochissime parole e con cenni eloquenti. C’è anche una strana figura, vestita in modo particolare; è vicina al letto dell’ammalata e ha in mano oggetti non comuni. Nei suoi paramenti sacri, il parroco sta amministrando l’Estrema Unzione, ma Anna non conosce ancora quel rito.

Ad un tratto alcune parole la raggiungono: “E’ morta”… Neanche il senso profondo di queste parole le è ancora chiaro.

Il giorno successivo Anna vide in strada, vicino al portone di casa, un carro trainato da due cavalli ammantati di nero. Una cassa di legno venne adagiata fra i due ripiani del carro. I ripiani erano tenuti insieme da quattro colonnine. Le colonnine, in alto, all’estremità che sporgeva dal tetto, portavano, ognuna, una lampada accesa; dal perimetro del tetto scendeva una tenda nera con i bordi ondulati e dorati e, pur senza raggiungerla, si   protendeva verso la bara attorniata da molti fiori.

Poi, sul selciato prese a risuonare il rumore delle ruote di legno che giravano lentamente, avvolte dai loro cerchioni di ferro, Ogni tanto uno schiocco di frusta si intrometteva fra lo scalpitio cadenzato degli zoccoli dei cavalli; e, dietro il feretro, il sussurato rincorrersi delle parole degli oranti.

Il corteo, passo dopo passo, prese ad allontanarsi e si perse in fondo al rettilineo, inghiottito dalla curva.

La piccola Anna guardava dal balcone che dava sulla strada, incuriosita ed emozionata da quei fatti nuovi e ricchi di mistero.

La rivide, in seguito, la sua bisnonna, in forme diverse, ma pur parte della contemporaneità della vita quotidiana. Erano trascorsi poco più di vent’anni, da quando Anna, da un angolo del balcone, aveva osservato curiosa quel carro e il suo allontanarsi verso il fondo del rettilineo. E ora l’anziana donna veniva riesumata assieme al marito, morto parecchi anni prima di lei. Il marito era un uomo alto e robusto e, per questo, di tanto in tanto, in famiglia veniva chiamato scherzosamente “il gigante” … lui, dal canto suo, sorridendo, diceva di avere un “petto d’acciaio”. Morì di polmonite e le sue ossa furono raccolte in una cassetta, seppure di dimensioni eccezionali. La cassetta fu posta accanto alla bara della moglie, il cui corpo asciutto e piccolino, rimase integro, solo con la pelle più scura e lucida. Era ancora avvolta nei veli con cui era stata adagiata nel suo ultimo lettino.

Da lontano, nei magici tramonti d’estate, il mare azzurro e il cielo, fine e serica porcellana rosa e indaco, li avvolgono, pervasi dall’infuocato splendore del sole cadente, mentre, nel costante alternarsi delle generazioni, la voce dei paesani ormai sconosciuti, li raggiunge con i modi e i suoni della nota parlata familiare.

                    © Antonina Orlando 01 Novembre 2021

TRA PASSATO E PRESENTE (La bisnonna che vide Garibaldi)

 

 

 

 

 

 

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