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LAVORIAMO IL SUGHERO

LAVORIAMO IL SUGHERO

 

 

 

 

 

 

 

 

   Il 6 Giugno scorso, Luisa Pisano, presidente dell’Associazione culturale “Nosu impari”, ha inaugurato la mostra “Lavoriamo il sughero”. La mostra è stata allestita con i lavori degli allievi del corso “La lavorazione del sughero”, tenuto dal maestro Marcello Pisano, nell’autunno del 2019 e, purtroppo, non più riproposto a causa della successiva pandemia.

Fra i molti oggetti artistici presentati (portagioie, portatovaglioli, portapenne, quadretti …)

 

emergono quadri e sculture che propongono ambienti, tradizioni e folclore sardi.

 

Nella mostra sono esposte anche opere di Marcello Pisano. Tali creazioni si ispirano alla mitologia delle “Janas”, sorta di fate/streghe che popolavano i boschi dell’isola.

Piccoline di statura (circa 25 centimetri), – come spiega Marcello – bellissime in volto, molto intelligenti e oltremodo laboriose (usavano strumenti e materiali preziosi come l’oro), esse avevano la loro casa (Domus) nei sepolcri scavati nelle rocce dalle antiche civiltà sarde, non si sa con l’utilizzo di quali strumenti (ascia a mano? punteruoli di selce?). La funzione delle Domus de Janas – aggiunge Marcello – era collegata alla credenza religiosa di continuità tra la vita fisica e la vita oltre la morte. Da secoli racconti affascinanti tramandano le loro storie, adattandole ai vari paesi, e ancora oggi molti scrittori ne elaborano di nuovi, arricchendo il mito delle “Janas”.

Buoni o cattivi (Mala Janas), questi esserini, parte integrante e significativa della cultura sarda, in grado di rendersi invisibili, aumentare di statura, muoversi in mezzo alla popolazione senza farsi riconoscere, hanno spesso ispirato l’autore che li ha ripensati, riproponendoli in dipinti e sculture.

Di seguito esempi tratti dalla serie “I colori della Sardegna” accanto a quelli facenti parte della mostra:

(La Jana buona gioca con la Jana cattiva – della serie “I coloiri della Sardegna”)

(la Jana che si adorna con gli Asfodeli – della serie “I coloiri della Sardegna”)

(Sa Maista – della serie “I coloiri della Sardegna”)

 

Opere presenti alla mostra:

(Mala Giana)

(Alla ricerca delle origini)

 

La mostra resterà aperta al pubblico fino al 9 Giugno dalle 15,00 alle 18,00, nella Sala Esposizioni della Circoscrizione 5, in via Stradella 192, Torino.

 

© Antonina Orlando 09 Giugno 2022

 

LAVORIAMO IL SUGHERO   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TRA PASSATO E PRESENTE (La bisnonna che vide Garibaldi )

TRA PASSATO E PRESENTE

(La bisnonna che vide Garibaldi)

 

Ancora in molti sulla spiaggia, nel magico tramonto: alcuni a divertirsi dentro l’acqua, fra il riverbero del rosa che variegava suggestivo le trasparenze azzurre del cielo e si scioglieva nel violetto e nell’indaco dell’orizzonte; altri sulla sabbia tiepida, infervorati dietro la rete della pallavolo; altri, asciugamano in spalla, con ombrelloni, borse e piccole sdraio, sulla via del ritorno, seguendo la scia luminosa degli ultimi raggi di sole sul dorato della sabbia, sul verde vivace delle foglie e dell’erba, sui fiori intensamente variopinti e smaglianti.

Tutto, intorno, brulicava di vita, suoni, profumi.

Dal lato del mare, il recente susseguirsi di nuovi piccoli locali, colorati e turistici, dall’aria tropicale, e la loro musica allegra e decisamente ritmata. Di fronte alla spiaggia, sul lato opposto della strada, varie strutture ricettive, invece delle casette semplici ed essenziali della gente modesta di molti anni prima. Esse avevano un aspetto moderno e pittoresco al contempo e mostravano la spontanea e doverosa accoglienza di una volta. Ai tavoli dei bar, l’inusuale professionalità del personale, era mitigata dalle maniere cordiali e semplici dell’antica abitudine paesana, e lasciava spazio considerevole a un fare genuino e confidenziale, quando si avvicinava alla clientela locale e dei dintorni, irrigidendosi in un atteggiamento quanto più possibile compìto, allorché riceveva le ordinazioni dell’avventore “forestiero”.

I noti profumi della gastronomia tradizionale pervadevano l’aria, mentre persone mai viste, discorrevano e scherzavano nei modi e nella parlata che le erano familiari.

Risalendo la vicina strada, all’incrocio con la via del mare, pur essa ammodernata, Anna arrivò dapprima alla Casa del Mal Essere, dove, come da piante selvatiche, ricoperte di marzapane, ma intrise di veleno, germogliava quanto serviva a generare malintesi, liti e rancori fra molti malcapitati.

Poi, proseguendo un poco verso sud, in direzione di quella che fu un tempo la stazione ferroviaria, e attraversando l’importante arteria viaria che percorre il paese da est a ovest, raggiunse il vecchio rudere di una bella e signorile villa liberty. Un rudere, come tanti, ricco di storie e vicissitudini ora liete, ora tristi.

La fabbrica originale del palazzo era ampia e molto articolata. La facciata correva lungo la via principale, mentre la parte posteriore guardava verso la ferrovia ormai silenziosa, ma frequentata un tempo da locomotive a vapore, poi da “littorine” e, in ultimo, da treni via via più moderni e veloci.

Le ali del palazzo, pur deboli e abbandonate, continuavano ad abbracciare il cortile non più festoso, colorato e alacre, ma trascurato e senza vita attorno al suo grande vecchio pozzo, a cui molti, per diritto, potevano attingere, sia zii e cugini, i cui appartamenti si affacciavano nel cortile stesso, sia parenti non abitanti più in paese.

Racchiuse dalla cinta muraria, ancora in condizioni dignitose, le stanze interne, ridotte ad un ammasso di macerie ed esposte ad ogni sorta di intemperie, alla presenza di Anna si rianimarono e tornarono ad essere belle e luminose, frequentate dalla vita passata.

Comparve allora l’esile figura di una donna piccolina di statura e oltremodo anziana. Anna riconobbe in essa la sua bisnonna ultracentenaria, così come quando i suoi sensi ne presero coscienza per la prima volta.

Era avvolta dai vestiti lunghi e scuri con i quali la ricordava; la nuvola ariosa e disordinata dei bianchi capelli crespi e ribelli formava, come sempre, un gomitolo gonfio e aggrovigliato sul capo e attorno al volto scarno e serio. Si aggirava lenta per la camera, tastando qua e là muri e mobili, per indovinare il percorso che i suoi occhi appannati non le indicavano più. Accanto le stava di continuo una giovane donna premurosa, pronta a guidarla e a soccorrerla nel momento del bisogno.

I primi tre anni e mezzo della vita di Anna coincisero con gli ultimi tre anni e mezzo della vita di nonna Sara; eppure, la ricordava bene Anna e sapeva tante cose di lei.

Figlia del sindaco di un paesino vicino, ancora bambina, vide Garibaldi, sfidando il divieto paterno, mirato a proteggerla.

Mentre il padre, infatti, nella sua veste di sindaco, si recava a ricevere il “liberatore”, portatore di giustizia e di nuovi stili di vita, lei trovò il modo di uscire di casa e, indossando un vestitino bianco, si mescolò alla folla, radunatasi per l’occasione.

“Era biondo e bello” – ripeté sovente in seguito prima ai figli, poi ai nipoti.

Divenuta anziana e cieca, la vecchietta dovette fare i conti con la nuova tecnologia che avanzava ed entrava nelle case delle famiglie comuni. Così si ritrovò a meravigliarsi tutte le volte che sentiva una voce provenire da “quella scatola”, come chiamava la radio. Parlava a lungo l’uomo dentro la “scatola”, e ad essa nonna Sara si avvicinava, comprensiva, appoggiandovi sopra le mani:

“Poveretto, come fa a stare qua dentro?” – chiedeva.

E subito dopo soggiungeva – “Chissà come si stanca a parlare così tanto! Dategli un bicchiere d’acqua, poverino!!! …”.

Fra i brandelli di fatti ed eventi che spuntavano qua e là, sfilacciandosi e ricomponendosi, sopravvenne la ricorrenza dei Defunti.

Nella sala da pranzo la famiglia si sta preparando a recitare il Santo Rosario per le loro anime: c’è anche nonna Sara.  

Sul tavolo ovale è già stato posto un prezioso centrino di filo bianco, con eleganti disegni intagliati e ricamati al centro e ai bordi. Su di esso vengono ora disposte le foto in bianco e nero dei cari morti. Dinanzi a loro brillerà la tremula fiammella della “lampa”, uno stoppino di cera bianca acceso e posto dentro un anellino di metallo, assicurato a tre piccoli cubi di sughero. La metà inferiore dello stoppino, fuoriuscendo dall’anello su cui poggia, pesca il nutrimento necessario alla combustione, immergendosi nell’olio di oliva che galleggia sull’acqua. Questa riempie i due terzi di un antico bicchiere di vetro, trasparente e un po’ segnato dagli anni.

Nella stanza sono pronte sedie e poltroncine: vi prenderanno posto uomini e donne. Le donne formano tre gruppi: il primo delle più anziane, in abiti molto scuri o neri; il secondo delle più giovani, anche loro vestite molto sobriamente; infine il terzo che comprende le bambine, più libere nella scelta dei colori indossati, ma tenute ad un comportamento serio e ad un tono di voce accuratamente basso e controllato. 

Quando tutto è silenzio, la preghiera ha inizio: Pater noster …, Ave Maria …, Requiem aeternam, … risuonano nella stanza in un sommesso mormorio. I piccoli ripetono le parole suggerite sottovoce dall’adulto vicino. Tutti sembrano personaggi proiettati su un vecchio schermo cinematografico, in un’atmosfera rarefatta. Un vecchio film che poco alla volta va svanendo, per lasciare affiorare altre immagini.

Oggi nonna Sara, all’età di quasi centotré anni, sta per lasciare la sua vita terrena. Alla bimba viene fatto divieto di entrare in camera, perché la nonna sta male. E, tuttavia, lei, silenziosa e furtiva, trova modo di farsi largo e, a piccoli passi, entra nella stanza e osserva: c’è tanto movimento, un andirivieni concitato che la colpisce. Tutti si intendono con pochissime parole e con cenni eloquenti. C’è anche una strana figura, vestita in modo particolare; è vicina al letto dell’ammalata e ha in mano oggetti non comuni. Nei suoi paramenti sacri, il parroco sta amministrando l’Estrema Unzione, ma Anna non conosce ancora quel rito.

Ad un tratto alcune parole la raggiungono: “E’ morta”… Neanche il senso profondo di queste parole le è ancora chiaro.

Il giorno successivo Anna vide in strada, vicino al portone di casa, un carro trainato da due cavalli ammantati di nero. Una cassa di legno venne adagiata fra i due ripiani del carro. I ripiani erano tenuti insieme da quattro colonnine. Le colonnine, in alto, all’estremità che sporgeva dal tetto, portavano, ognuna, una lampada accesa; dal perimetro del tetto scendeva una tenda nera con i bordi ondulati e dorati e, pur senza raggiungerla, si   protendeva verso la bara attorniata da molti fiori.

Poi, sul selciato prese a risuonare il rumore delle ruote di legno che giravano lentamente, avvolte dai loro cerchioni di ferro, Ogni tanto uno schiocco di frusta si intrometteva fra lo scalpitio cadenzato degli zoccoli dei cavalli; e, dietro il feretro, il sussurato rincorrersi delle parole degli oranti.

Il corteo, passo dopo passo, prese ad allontanarsi e si perse in fondo al rettilineo, inghiottito dalla curva.

La piccola Anna guardava dal balcone che dava sulla strada, incuriosita ed emozionata da quei fatti nuovi e ricchi di mistero.

La rivide, in seguito, la sua bisnonna, in forme diverse, ma pur parte della contemporaneità della vita quotidiana. Erano trascorsi poco più di vent’anni, da quando Anna, da un angolo del balcone, aveva osservato curiosa quel carro e il suo allontanarsi verso il fondo del rettilineo. E ora l’anziana donna veniva riesumata assieme al marito, morto parecchi anni prima di lei. Il marito era un uomo alto e robusto e, per questo, di tanto in tanto, in famiglia veniva chiamato scherzosamente “il gigante” … lui, dal canto suo, sorridendo, diceva di avere un “petto d’acciaio”. Morì di polmonite e le sue ossa furono raccolte in una cassetta, seppure di dimensioni eccezionali. La cassetta fu posta accanto alla bara della moglie, il cui corpo asciutto e piccolino, rimase integro, solo con la pelle più scura e lucida. Era ancora avvolta nei veli con cui era stata adagiata nel suo ultimo lettino.

Da lontano, nei magici tramonti d’estate, il mare azzurro e il cielo, fine e serica porcellana rosa e indaco, li avvolgono, pervasi dall’infuocato splendore del sole cadente, mentre, nel costante alternarsi delle generazioni, la voce dei paesani ormai sconosciuti, li raggiunge con i modi e i suoni della nota parlata familiare.

                    © Antonina Orlando 01 Novembre 2021

TRA PASSATO E PRESENTE (La bisnonna che vide Garibaldi)

 

 

 

 

 

 

NORBERTO BOBBIO – L’ESEMPIO DI SILVIO TRENTIN

NORBERTO BOBBIO – L’ESEMPIO DI SILVIO TRENTIN – Domenica 27 Giugno 2021, alle ore 11,00, presso il Bar Pietro – piola sardo – veneziana di Torino, secondo pre/tesTO conviviale post lockdown: “Bobbio legge Trentin”.

Nel corso dell’incontro, Pietro POLITO (Direttore del Centro Gobetti di Torino), Giuseppe SCIARA (UniBo) e Filippo M. PALADINI (UniTo) hanno presentato il volume “NORBERTO BOBBIO – L’ESEMPIO DI SILVIO TRENTIN – SCRITTI 1954 – 1991”, a cura di Pina Impagliazzo e Pietro Polito, Centro Trentin di Venezia, Firenze University Press, Firenze 2020

 

Nella breve e interessante introduzione, il Prof. Paladini ha ricordato fra l’altro il padre, Prof. Giannantonio Paladini, che a Venezia contribuì moltissimo alla valorizzazione della figura di Silvio TRENTIN sia con studi (lavorò assieme a Pizzorusso, Moreno Guerrato e Norberto Bobbio), sia reperendo i fondi necessari per l’edizione nazionale delle opere del giurista. Si tratta di cinque volumi, uno dei quali curato appunto da Giannantonio Paladini.

 

Il pensiero e gli scritti maggiormente significativi di Trentin sono stati illustrati successivamente dai tre relatori sulla base della lettura fattane da Norberto Bobbio e in riferimento al contesto storico – culturale della sua formazione.

In modo particolare si è dialogato sui temi chiave del pensiero di Trentin e delle sue proposte per la soluzione dei problemi sociali a lui contemporanei.

Si è parlato, perciò, sia della “terza via”, sia delle autonomie e del federalismo integrali, senza tralasciare, tuttavia, confronti ragionati con realtà e problemi odierni.

 

Di seguito, alcuni momenti degli interventi

 

© Antonina Orlando, 02 Luglio 2021

 

NORBERTO BOBBIO – L’ESEMPIO DI SILVIO TRENTIN

ALL’OMBRA DEL GLICINE

         

 

ALL’OMBRA

all'ombra del glicine Anna trascorre i suoi primi anni

 

DEL GLICINE

      

All’ombra del glicine – In un tranquillo e ridente paesino sul mare, Anna trascorre i suoi primi anni di vita con nonna Valeria, la sua mamma – nonna, come ama chiamarla.

Valeria, donna tanto intelligente, quanto buona, saggia e paziente, alleva con molto affetto la nipotina che le sarà sempre grata e affezionatissima …

Oggi è un luminoso e tiepido giorno di primavera e la bimba sta giocando seduta in terrazza.  

   Dopo qualche tempo …

“Nonna, posso scendere in cortile a giocare con la bicicletta?”

“Va bene, Anna! Stai attenta, però!”

  Due grosse e lunghe trecce castane, fermate ciascuna da un anello dorato, le danzano allegramente sulle spalle, mentre, quasi volando, corre giù per le bianche scale, fra il muro e una bellissima ringhiera scura in ferro battuto.

  Ai riccioli della ringhiera è intrecciato un antico glicine:

il tripudio dei suoi grappoli, da poco sbocciati, colora l’aria e la profuma delicatamente, mentre il tenero viola – azzurro dei fiori, ora più ora meno intenso, contrasta allegro e pittoresco con le verdi, tenere foglioline e con i tralci che, lunghi e verdi anch’essi, si protendono eleganti e morbidi lontano dai rami.

Ne risulta una filigrana variamente smaltata che, in trasparenza, impreziosisce lo spazio intorno alla pianta e, più in alto, intarsia l’azzurro del cielo.

Il glicine corre lungo tutta la scala e si inerpica su per le terrazze del primo e del secondo piano, seguito dal ronzio delle api nere che ne corteggiano i fiori profumati e dolci di nettare. Da lì, maestoso, dopo avere formato pergole e ammantato i muri, il vecchio albero incornicia festoso tutto il cortile, tappezzando le ringhiere superiori e abbracciando uno splendido geranio rampicante.

E il vecchio albero incornicia festoso tutto il cortile, ... abbracciando uno splendido geranio rampicante.questo, dalla bianca aiuola del terrazzino, con smaglianti fiori di porcellana rosata e foglie carnose, si propende flessuoso e ricco di vegetazione giù nel cortile che acquista il sapore di un fiabesco quadretto pastorale.

   Dopo il triciclo, Anna gioca ora con la sua prima biciclettina.

“Mi piace rossa” – aveva risposto quando le avevano chiesto che colore preferiva.

Ha ancora bisogno delle rotelline, ma presto imparerà a farne a meno.

“Vai e guarda avanti! Vedi? Sai già andare!” – le dirà, fra qualche giorno lo zio, – “Non avere paura!”

E lei, a sua volta: “Non mi lasciare!!!”, – gli raccomanderà alquanto preoccupata.

 “Non temere, ti tengo dalla sella … vedi che sai andare … attenta! … Brava!!”

Il glicine corre lungo tutta la scala ... grande pozzoLa piccola ciclista pedala per molto tempo: lo spazio è tanto e può correre a lungo, inventandosi mille percorsi diversi fra il grande pozzo, il magnifico gelso e l’altissima, rigogliosa palma.

Poi, dopo chissà quanto tempo, decide di tornare su e di cambiare gioco.

  Risale, allora, svelta le scale, con leggerezza.

Le api nere le aleggiano intorno con veloci e intensi fruscii, facendola sussultare: presagio, forse, di tristi fatti  futuri.

    In terrazza la tartarughina lenta e senza fretta passeggia sulla terra battuta, rosicchiando di tanto in tanto qualche tenera foglia di insalata.  La nonna, seduta al solito posto, pulisce la verdura per il pranzo: è costantemente presente con la sua rassicurante tranquillità; sempre intenta a sbrigare qualche faccenda e pronta a intervenire nel modo giusto, al momento opportuno.

“Che fai, nonna?”

“Vedi? Sto pulendo i broccoli”

“Come si fa?”

“Siediti qua, guarda!”

“Mi fai provare?”

“Tieni: togli le foglie e poi stacca tutti i fiorellini che si sono aperti, come faccio io”

“Va bene così?”

 “Sì, brava!”

“Abbiamo finito? …  Allora vado a giocare!”

 Mentre la nonna continua il lavoro con il coltellino, osservando contemporaneamen- te la nipotina, Anna prende la sua palla colorata e, lanciandola contro il muro:

“Palla dorata, dove sei stata?”

– va chiedendo al suo giocattolo che, rimbalzando e tornandole prontamente fra le agili mani, risponde alle domande con la stessa cantilena:          

“Dalla nonna”

“Che ti ha dato?”

“Un’arancia”

“Dove l’hai messa?”

“Nel grembiule”

“Fammela vedere”

“Eccola qua!!!”

E la palla/arancia cade nel lembo del vestitino che Anna, con prontezza, ha abilmente sollevato e ripiegato in su, per raccoglierla.  

 Nei pomeriggi, specialmente quelli lunghi d’inverno, la sua fantasia e il suo animo sono incantati e rapiti dalle fiabe, dalle storie e dalle filastrocche che la nonna le racconta:

“… e quando arrivò la strega cattiva, la scala cominciò a salire e scendere, la porta cominciò ad aprirsi e chiudersi violentemente da sola e il bastone cominciò a roteare minaccioso in aria, facendola scappare … e poi la inseguì, la inseguì, la inseguì lontano lontano, da dove non poté più tornare …”

La bimba non si stanca di ascoltare …  

“Nonna, mi racconti di Giufà?”

“Ormai pronta per uscire, la mamma disse a Giufà”:

 “Giufà, io vado in chiesa. Quando finisci, tirati dietro la porta e vieni in chiesa pure tu”.

“Va bene, mamma!”

 “Poverina” – intercala nonna Valeria – “lei era tranquilla in chiesa, ma … sai cosa ha combinato Giufà?”

“Cosa?” – chiede Anna che ascolta con attenzione e curiosità il racconto perennemente nuovo.

“Che ne sai, tu!” – prosegue la nonna ora ripetendo, ora introducendo nuove e accattivanti espressioni che stuzzicano e coinvolgono la piccola.

“Giufà pensò, pensò e ripensò”:

La mamma mi ha detto:

“Quando esci, tirati dietro la porta!”

“Cosa vuol dire? … Ah, ecco! Devo portarmi dietro la porta!”.

“Perciò staccò la porta, se la mise sulle spalle e andò in chiesa.”

“Ah,ah,ah” – un risolino divertito interruppe per poco il racconto che, dopo una breve, saggia pausa, riprese alla richiesta impaziente: “e poi che successe?”.  

“Povera donna!” – rispose nonna Valeria – “Puoi immaginare, quando sentì tutto il pandemonio, provocato da Giufà che trascinava la porta nel silenzio della chiesa!

Tutti si voltavano a guardare! Che vergogna!!!”

“Giufà! Cos’hai fatto?!” – Esclamò esterrefatta.

“Ho fatto quello che mi hai detto, mamma: mi son tirato dietro la porta!!!”.

E a questo punto una nuova risata argentina si sente  vibrare allegra accanto alla nonna.

                                           © Antonina Orlando 19 Gennaio 2021

 

ALL’OMBRA DEL GLICINE

“RIGENERAZIONE NATURALE CONTRO L’INQUINAMENTO MARINO”

“RIGENERAZIONE NATURALE CONTRO L’INQUINAMENTO MARINO” – MOSTRA DI MARCELLO PISANO. Marcello Pisano, sensibile ai problemi dell’inquinamento, da molti anni si impegna in attività costruttive sia nella vita quotidiana, lavorando per tenere pulito l’ambiente, sia nella vita artistica, rappresentando con immagini la sofferenza e la ribellione della natura, oppure trasformando oggetti abbandonati e inquinanti in capolavori d’arte: “Con i pneumatici smessi” – afferma per esempio Marcello – “si può fabbricare di tutto: un vaso di fiori, una sedia, un muro di cinta, una colonna fiorita, un tavolo da salotto o da giardino; con un po’ di fantasia si possono eseguire dei lavori interessanti unendo l’utile al dilettevole e diventare un <<Ulisse>> del terzo millennio”.

Nel suo tentativo di sensibilizzazione, Marcello ha allestito mostre e ha partecipato a varie iniziative, notando sempre molto interesse nel pubblico.

“La natura” – egli immagina – “sta ponendo rimedio all’inquinamento del mare, rigenerando svariate specie di pesci. Alcuni si cibano di petrolio e catrame, altri filtrano l’acqua marina, asportando le micro particelle di plastica, i pesci volanti aspirano in superficie le esalazioni di gas inquinanti. Insomma, per evoluzione naturale, si stanno evolvendo miliardi di pesci, che ripuliscono i fondali marini, le spiagge, ossigenano l’acqua, ricreando così il perfetto ecosistema marino”. L’uomo, sconfitto, rimane isolato dietro la rete, che si nota in molti quadri, mentre l’inquinamento marino causa lo “Sgomento di Nettuno” .

Di seguito, corredati dalla spiegazione dell’autore, alcuni fra i quadri presenti alla mostra, allestita dal 25 novembre al 6 dicembre 2019, presso la sala esposizione della circoscrizione 5 di Torino:

I GUARDIANI DEL MARE – “Vagano continuamente attraverso i mari sorvegliando tutte le imbarcazioni, controllando che ognuno faccia il proprio dovere. Se qualcuno butta anche solo una cicca in mare, viene subito fotografato e al suo rientro viene immediatamente contattato e obbligato a pagare un’ammenda. Figuratevi se viene colto in flagrante, mentre fa cadere in acqua una bottiglia di plastica o un copertone.”

MEDUSE – “con i loro lunghi tentacoli assorbono le sostanze liquide inquinanti, trasformandole poi in acqua marina pura, essenziale alla vita dei pesci. Le meduse sono di colori diversi, a seconda del tipo di liquido con cui vengono a contatto. quando diventano bianche, vuol dire che hanno già ripulito la zona in cui si trovano.”

I BRUCHI – “I Bruchi di mare, incredibili creature della specie delle oloturie, filtrando l’acqua del mare, trattengono le micro-particelle di plastica e le tramutano in humus che è un ottimo nutrimento biologico.”

MURAENAS AMIANTIBUS – “Un pesce veramente formidabile contro le lastre d’amianto. Individua, vagando per i mari, con un fiuto cento volte superiore a quello di un segugio, le lastre e ogni tipo di manufatto contenente amianto, che aggredisce a morsi. Con la saliva disintegra l’amianto e l’inerte che rimane è simile alla sabbia del fondale marino in cui si trova.

La natura non finirà mai di stupirmi.”

DORATUS BUSTINORUM – “Un tipo di pesce corazzato, color bronzo dai riflessi dorati. Sono a decine di migliaia sparsi per tutti i mari. Ingoiano letteralmente ogni tipo e colore di busta e la comprimono all’interno del loro stomaco, come se avessero una pressa. La espellono poi sotto forma di palline che emergono in superficie, dove vengono raccolte e portate in speciali bruciatori, per produrre  energia pulita e a costo zero.”

OIL MAGNIFIC – “Sono come dei granchi giganti che mangiano il petrolio. Incredibile ma vero, al loro interno lo lavorano e lo espellono sotto forma di uova che emergono in superficie e che vengono trasportate dalle correnti in enormi bacini naturali. Qui l’uomo le raccoglie solo per il fabbisogno personale: vengono usate come combustibile ecologico al mille per mille. Il combueco viene usato per ogni tipo di motore.

Colui il quale venisse scoperto ad immagazzinarne più del dovuto o a venderlo per mero profitto, verrebbe obbligato a non usarne per sei mesi; se recidivo, verrebbe punito con sei anni di galera.”

PINNA NOBILIS – “Ce ne sono a miliardi: aspirano tutte le sostanze plastiche disperse nei mari, le lavorano e le trasformano; successivamente espellono dal loro organismo una sostanza filamentosa, come se fosse bisso. Questa specie di bambagia risale in superficie, viene raccolta dai tessitori e viene filata. Con essa si fabbrica un tessuto, dai colori sgargianti, da donare ai più bisognosi in tutto il mondo. E’ ottimo anche per fabbricare le reti rosse che vengono usate per dividere in settori i fondali marini più inquinati e pericolosi.”

PESCI VOLANTI – “Bellissimi da vedere. Sono leggeri come libellule, svolazzano a pelo d’acqua con vere acrobazie nel seguire i miasmi fatti fuoruscire in superficie dal turbinio provocato dalle corazzate. Aspirano tutti questi gas nocivi, e in men che non si dica li scaricano in contenitori stagno in fondo al mare. Questi sono collegati mediante tubi a speciali fabbriche chimiche, dove vengono convertiti in gas metano pulito.”

                                                            © Antonina Orlando 13 Dicembre 2019

 

“RIGENERAZIONE NATURALE CONTRO L’INQUINAMENTO MARINO”

GINA PREVITERA – TRADIZIONE, CULTURA E ARTE NEL CASTELLO DI MILAZZO

GINA PREVITERATRADIZIONE, CULTURA E ARTE NEL CASTELLO DI MILAZZO

 

 

 

 

 

 

 

Il ritorno al Castello di Milazzo

Mantano è tornato al Castello di Milazzo il 15 Maggio scorso.    

In una giornata umida ha ripercorso l’imponenza della Fortezza e la bellezza del paesaggio marino, su cui si staglia la rocca. Era una giornata umida sì, ma la suggestione e i colori ne venivano solo trasformati e impreziositi, ammorbiditi com’erano dalle tinte alquanto sfumate e dai lievi contrasti, mentre qualche nuvola, diradandosi, creava uno squarcio, attraverso cui la luminosità vittoriosa dava risalto qua e là allo smalto di isolati angoli di terra.

Giunti ormai vicini al convento delle Benedettine, ecco, accogliente e sorridente, la figura del maestro Pracanica, il Kuntastorie che in quel convento non si stanca di raccontare, mimare e abbellire tantissime leggende, storie e tradizioni per centinaia di visitatori, adulti e bambini, provenienti da ogni parte del mondo.

La collaborazione fra marito e moglie

Nel laboratorio, all’interno del convento, egli lavora assieme alla moglie, la preziosa collaboratrice che gli sta a fianco nella vita quotidiana e nell’arte.

Gina, questo il suo nome, mite e dolce signora, ma al contempo valida e competente artigiana/artista, è l’insostituibile supporto e completamento del lavoro di Nino, anche lui artigiano, oltre che scrittore e attore.

Ogni opera, dunque, è il risultato della collaborazione fra marito e moglie: generalmente è Nino a preparare tavole e vari altri articoli, ma è Gina a completare quel lavoro di base con incisioni, pitture e intarsi, spesso grazie ad un lungo e appassionato lavoro:

 

Gina lavora con abilità e con grande passione

Gina lavora con abilità e con grande passione. Una passione che non si esaurisce nel tempo, ma che sembra rinnovarsi in forza e vigore dopo la realizzazione di ogni manufatto.

E’ grazie a lei, infatti, se la Bottega d’Arte è una delle migliori cento botteghe italiane (Corriere della Sera, 28 luglio 2016).

L’entusiasmo la anima costantemente, oltrepassa la stanchezza, ne annulla gli effetti negativi e genera costantemente uno studio filologico sugli stessi materiali antichi, nel desiderio di rendere l’opera più vicina possibile a quella autentica, alla verità storica, alle tecniche originali.

 

Strumenti di uso antico e materiali di riciclo

Per il suo lavoro adopera strumenti di uso antico, ma anche materiali di riciclo: dipinge con polveri ottenute da elementi naturali e vegetali e la sua tecnica risale agli antichi Egizi; la lucidatura avviene con pietra d’agata e il risultato è duraturo nel tempo, al pari dei disegni e delle decorazioni che ci sono giunti dalla civiltà egizia. Come i vecchi falegnami, costruisce cornici in legno senza usare chiodi, e la fervida fantasia crea intarsi e abbellimenti, rinnovando forme e misure degli scarti di cuoio, di legno e di oggetti ormai in disuso, i quali acquistano nuova vita e nuovo valore.

Da antiche basi in cartone, su cui poggiavano le famose “cassate” siciliane, nascono supporti per diversi tipi di realizzazioni:

 

Gina e la storia della Sicilia

Su di essi Gina schematizza sapientemente storie e simboli, su cui trascorre la storia della Sicilia, raccontata dai popoli su di essi rappresentati, dai simboli disegnati, dai fatti esposti, mentre il marito se ne serve per drammatizzare storie, favole e miti. Gina e Nino difendono così i valori originali della Sicilia e raccontano le sue vicende e i suoi abitanti servendosi di tutto ciò che producono; infatti, – afferma Nino – “Noi possiamo raccontare la Sicilia attraverso i simboli, i popoli, attraverso i pupi, attraverso i dipinti, attraverso i tablet romani, i giochi … ”.

E la Sicilia diventa una bella donna al centro del Mediterraneo avvolta da mille profumi inebrianti, riccamente ornata dai colori dei suoi fiori e dalla dolcezza dei suoi frutti, desiderata e corteggiata da tutti i popoli che sin dalla preistoria ne sono stati attratti. La società siciliana è matriarcale e la Madre Sicilia ha raccolto ogni seme lasciato da ciascun popolo, per farlo germogliare e per ottenerne cultura

 

Alcune realizzazioni con materiale riciclato

Con materiale riciclato, fra le mani di Gina spuntano giochi egiziani:

ritorna il “tablet” romano, come lo chiama scherzosamente Nino:

nascono giochi e ricordini attuali:

ma anche oggetti di uso comune, come espositori per monete e portapenne:

riproduzioni di particolari architettonici:

quadri, cornici e molto altro:

 

Arte, cultura, modestia … e umanità

Nei locali in cui svolgono la loro attività i coniugi Pracanica, si assiste giornalmente a eventi teatrali culturalmente significativi e lì Mantano ha incontrato capolavori di scultura, restauro, pittura, lavorazione del cuoio; ha conosciuto la modestia di Gina e la sua semplicità, la sua creatività e la grande volontà che la anima.

Lei è artista da sempre: se ne è resa conto da ragazzina. All’età di tredici anni – ha raccontato – ha aiutato la sorella in alcuni lavori scolastici: il suo intervento è stato fantastico e ha suscitato la gratitudine della sorella e l’ammirazione di quanti hanno avuto modo di osservarne i risultati.

A quattordici anni collaborava già in un atelier, pur non partecipando a mostre, in quanto molto giovane.

Alla creatività, all’abilità manuale e alla continua elaborazione della tecnica, Gina unisce grandi doti umane e la capacità di trasfondere, soprattutto nelle immagini prodotte, la vita interiore che la anima, dando agli sguardi delle immagini realizzate un’espressività intensa e profondamente spirituale. Particolare il suo interesse per il restauro delle icone bizantine

 

 

Ma i materiali usati, purtroppo, non sono più uguali a quelli di un tempo

 

Il restauro

Gina si applica con altrettanta cura in numerosi altri lavori di restauro, sfruttando la competenza e l’esperienza acquisite nel tempo. Fra i tanti lavori su cornici dell’800 e dipinti, riportiamo il recupero di una Madonnina (Maria Bambina), caduta a terra durante una processione, e i restauri dei vetri dipinti, appartenenti ad una collezione di Bernabò Brea:

Gina ha una grande umanità – dicevamo – un’umanità che emerge nelle opere, certo, ma anche nella quotidianità della sua vita e che sa far convivere con l’attività di artigiana/artista, nonché collaboratrice del marito.

Si direbbe che l’esistenza dell’uno non potrebbe essere senza quella dell’altro.

L’estro, l’entusiasmo e ogni attività pratica dell’uno trovano riscontro nella laboriosità, nella creatività, nella modestia, nella forza volitiva dell’altra.

E’ stimata e amata da lui che ne elogia la fermezza unita a dolcezza, serenità e saggezza; è adorata dalle figlie, grate per le sue amorevoli cure e per i consigli e gli insegnamenti ricevuti nelle varie tappe della loro giovane vita e che ancora continuano a ricevere; è ammirata e tenuta in gran conto da quanti l’hanno conosciuta.

In passato, ha trasferito il suo laboratorio in un angolo della casa, dove, con maggior serenità e soddisfazione, ha potuto assolvere il suo compito di moglie e madre di bimbe piccole, continuando a realizzarsi come restauratrice competente di opere di grande valore e come artista/artigiana o “Magistra Artis”, come meglio viene definita da Sergio Todesco ( N. Pracanica, “Le savoir faire” di Gina, p. 27).

“La casa governata da Gina è divenuta nel tempo un tempio sacro.

Ha preso forma e si è adattata alle esigenze della evoluzione della famiglia.

Così, per seguire meglio le figlie, Gina ha preferito trasferire a casa il suo laboratorio. Ne è risultata una casa d’artista; ma anche un luogo di pace e serenità, con spazi per tutti i componenti della famiglia e per l’accoglienza degli ospiti.” (N. Pracanica, “Le savoir faire” di Gina, p. 19)

 

La speranza di Gina

Il desiderio più grande che le vive dentro il cuore, è quello di trasmettere ai giovani le sue conoscenze e, in particolare, il suo entusiasmo. Hanno bisogno di entusiasmarsi, di credere, di voler realizzare, per vivere e crescere bene; hanno bisogno di imparare a fare, a dare e a condividere – lo dice con convinzione e cerca di metterlo in pratica, insegnando nel suo laboratorio.

 

 

L’attività didattica

Oltre a dirigere assieme al marito un Centro d’Arte presso il Castello di Milazzo, dove l’abbiamo incontrata, “… per tre anni, … , nella affascinante sede del Castello di Montalbano Elicona, Gina ha diretto (in collaborazione col marito) una Scuola d’Arte, su progetto e fondi della Comunità Europea e ha realizzato un museo didattico di strumenti musicali. … (N. Pracanica, “Le savoir faire” di Gina, p. 18).

Di seguito una piccola dimostrazione di strumenti musicali nati dal lavoro collaborativo di Nino e di Gina:

 

 

“Le savoir faire” di Gina

Nino ha dedicato alla moglie il libriccino “Le savoir faire” di Gina, di cui abbiamo letto sopra qualche saggio e che – dice l’autore– non riesce a descriverne pienamente le qualità:

“Queste pagine non potranno mai descrivere la preziosità di Gina, le sue capacità, il suo amore, la sua semplicità, il valore del suo sorriso, le sue qualità artistiche-artigianali di restauratrice, la sua dedizione alla famiglia, che lei ha servito e amato con rarissima sensibilità, accortezza, delicatezza e costanza. … Gina è una creatura delicata; bisogna accostarsi a lei con molta accortezza e grande rispetto, nel tentativo di riuscire a percepire le sue immense doti … Da Gina si impara vedendola all’opera e in azione … nei silenzi della sua infinita compostezza, bellezza e spiritualità” (N. Pracanica, “Le savoir faire” di Gina, pp.5-6).

La stessa attenzione per l’antico e per la tradizione, emerge nella vita privata della donna: “Gina ha mantenuto sempre vive alcune importanti tradizioni di famiglia. Fra tutte spicca quella della cucina araba.

Ella custodisce … molte ricette che realizza con lo stesso amore con cui affronta la vita quotidiana e il suo lavoro.” (N. Pracanica, “Le savoir faire” di Gina, p. 21)

 

I valori comunicati dallo stile di vita

E, se è vero che entrambi tendono a far conoscere storia e realtà siciliane, se intendono ricercare costantemente la verità storica e filologica in ogni espressione artistica, informandosi, studiando, indagando, se ancora questa ricostruzione è il sentiero su cui camminano e se il loro fine ultimo è quello di consegnarla ai giovani e ai giovanissimi, come loro personale “contributo alla società” e come testimone da trasmettere ai pronipoti, è anche vero che a tutto ciò vanno aggiunti altri importantissimi valori comunicati dal loro stile di vita: la condivisione gratuita del sapere – bene inestimabile –, la consapevolezza di potersi migliorare interagendo l’uno con l’altro, in un continuo scambio di esperienze, contenuti e ricchezza spirituale, la consapevolezza che uguaglianze e diversità sono complementari fra loro. Nino confessa con semplicità e con forza l’importanza della presenza di Gina nella sua vita di uomo e di artista. In Gina considera le doti che l’hanno conquistato quando l’ha conosciuta e durante tutti i momenti storici e spirituali della sua esistenza; quelle doti che l’hanno aiutato a “crescere”, ad agire … a vivere la sua vita. Gina, tuttavia, diventa anche un simbolo: il simbolo di tutte le donne che possono essere faro e sostegno nel cammino dell’Uomo e dell’Umanità. La donna è il fondamento e la ragione della società: lei accoglie, elabora, produce, preserva e conserva; dà la vita materiale e custodisce la tradizione con il suo lavoro, come dicono entrambi.

 

Il racconto delle Gelsominare

Ed è con un omaggio ad una particolare categoria di donne che si conclude quello che possiamo definire un incontro piacevole per la pacatezza, la cordialità, la signorilità che l’ha contraddistinto, ma parimenti arricchente per l’esperienza, la saggezza e la cultura che ha trasmesso.

Riportiamo di seguito il racconto delle “Gelsominare”, giovani donne e madri di famiglia che nella Piana di Milazzo raccoglievano i fiori dei gelsomini per le grandi industrie di profumi italiane e straniere. La loro condizione era davvero misera: esse lavoravano moltissime ore, curve, spesso scalze. La ricompensa ricevuta era irrisoria e la salute compromessa. Spesso la pianta dei loro piedi era infestata da vermi con sofferenze inaudite. Il Prof. Pracanica, padre del nostro Kuntastorie, le curava amorevolmente e forniva loro tutti i consigli necessari.

Nel messinese, a strapiombo sul mare, si erge il promontorio del Tindari, su cui sorge il Santuario della Madonna Nera.

Si tratta di una statua in legno di cedro del Libano che rappresenta la Madonna con il bambino.

Giunta dall’Oriente, nascosta nella stiva di una nave, e abbandonata sulla spiaggia ai piedi del promontorio, – come narra una fra le più famose leggende locali – fu raccolta e custodita dai pescatori del posto.

Per tradizione, al Santuario del Tindari si andava e si va tuttora anche semplicemente come forma di penitenza o per chiedere una grazia alla Madonna o ancora per assolvere un voto. C’erano dei percorsi stabiliti che abbreviavano la strada, ma proprio per questo erano irti e scoscesi; gli ultimi cento metri della salita venivano fatti in ginocchio.

Fra i fedeli si trovavano un tempo tante povere donne che lavoravano in campagna, al mare e appunto nelle gelsominare.

Il racconto riportato è dedicato a queste donne, devote della Madonna Nera, fiduciose di essere comprese da Lei che, abbandonata sulla spiaggia, era stata raccolta e protetta da semplici pescatori. Emerge delicato, nella lirica, il ricordo affettuoso di una donna molto avanti negli anni.

Pulita, curata e linda nell’abbigliamento caratteristico della sua umile condizione, la vecchietta si rende ancora utile con quello che ancora può fare: dar da mangiare ai colombi …

La composizione, in dialetto, è opera dello stesso Nino, figlio del bravo medico che, con competenza e umanità, le ha curate; testimone oculare per altro delle piaghe delle “Gelsominare”.

Ascoltiamo la voce del poeta e del suo tamburello che esprime il ritmo del suo cuore (Questo è il ritmo del mio cuore – egli spiega):

 

 

© Antonina Orlando – Luciano Di Muro 05 Giugno 2019

GINA PREVITERA – TRADIZIONE, CULTURA E ARTE NEL CASTELLO DI MILAZZO

 

IMMAGINI D’ARTE

IMMAGINI D’ARTE – ROMBO     

Rombo è un giovane artista emergente, ricco di grande forza creativa e di profonda vita interiore. 

Ama esprimersi disegnando e dipingendo e, per riuscirvi al meglio, affina incessantemente le sue tecniche con lo studio e la sperimentazione.

Di seguito è riportata la presentazione che Rombo fa di se stesso; inoltre, una galleria di immagini offre un saggio della sua produzione.

Alla fine dell’articolo si trova l’indirizzo mail per chi volesse contattarlo.

                                          © Antonina Orlando 24 Gennaio 2019

 

 

 

 

Rombo si presenta:

“Salve a tutti, sono uno come tanti, uno come voi, ma per comodità potete chiamarmi Rombo (sì, proprio come il pesce).

Sono nato sul finire degli anni ’80 e sono cresciuto nella stupenda Torino.

Fin da piccolo la mia immaginazione viene catturata dai racconti di tipo epico ambientati in contesti mitologici e che spesso vedono eroi, dei, semidei e magia come protagonisti.

Inutile dire che, come succede a tutti i bambini, la mia mano avverte subito il bisogno irrefrenabile di rappresentare e rielaborare i suddetti temi/personaggi tramite la più spontanea delle forme di espressione: il disegno.

Proseguendo con gli studi, mi accorgo che molti artisti del passato hanno tratto ispirazione dalle medesime fonti e, contemporaneamente, noto che il bambino rimasto nel mio animo riesce ancora a far sentire la sua voce. Di conseguenza la mia mano continua a disegnare.

Non avendo mai avuto l’occasione di fare studi specifici e mirati, continuo la mia carriera studentesca e cerco di affinare la mia tecnica da bravo autodidatta sfruttando manuali, internet e video tutorial, nonché preziosi consigli di esperti del settore.

Finito il periodo degli studi, mi accingo ad intraprendere un’importante carriera professionale, assai lontana dalla dimensione artistica; eppure, nei momenti morti, la mia mano è sempre lì, bisognosa di esprimere, rappresentare, disegnare.

Finalmente mi decido a seguire un corso “vero”, mirato a fornirmi basi solide e tecniche nella disciplina del disegno e, dopo un gran timore iniziale, eccomi qui a condividere con voi e con chi ne abbia voglia, i frutti del mio lavoro e del mio animo”.

                                                       © Rombo 24 Gennaio 2019

 

Per contattarmi:

artirombo@gmail.com

IMMAGINI D’ARTE

PALAZZO GOTICO PIACENZA – 1918 – 2018 CENTENARIO DELLA FINE DELLA GRANDE GUERRA

PALAZZO GOTICO PIACENZA 1918 – 2018 CENTENARIO DELLA FINE DELLA GRANDE GUERRA         

Uniforme da volontario garibaldino … Uniforme modello 1871 da Sottotenente del 48° Reggimento Fanteria Ferrara … Uniforme da Tenente del 61° Battaglione della Milizia Territoriale di Fanteria … Uniforme modello 1895 da Colonnello del 4° Reggimento Bersaglieri …Uniforme modello 1902 da Tenente del 10° Reggimento Artiglieria da Fortezza … Uniforme modello 1907 da Sottotenente del 4° Reggimento Genova Cavalleria …

Una lunga fila di uniformi accoglie il visitatore che entra nel Salone d’Onore del palazzo Gotico di Piazza Cavalli a Piacenza, per visitare la mostra allestita in occasione del centenario della fine della Grande Guerra. Tutte uniformi originali, come altre esposte in altri spazi (in tutto circa quaranta …) che, assieme a equipaggiamenti, decorazioni, documenti e oggetti personali, fanno rivivere le grandi sofferenze fisiche e psicologiche di quei lunghi anni.

La mostra, aperta dal 4 Novembre al 30 Dicembre 2018, non spiega i motivi della guerra, ma la pone davanti agli occhi del visitatore.

Fu una guerra che contribuì al completamento dell’Unità d’Italia, la “quarta guerra di indipendenza”: è una delle riflessioni che vengono in mente, osservando l’uniforme garibaldina, la prima uniforme ad essere presente all’ingresso. La camicia rossa fu indossata dapprima dai volontari di Giuseppe Garibaldi, durante il Risorgimento, e poi, nella Grande Guerra, dai legionari agli ordini di Peppino Garibaldi, nipote dell’eroe dei due mondi.

Spiegazioni chiare accompagnano tutto il materiale esposto: si tratta di materiale originale, messo a disposizione da collezionisti privati, fra i quali il dott. Filippo Lombardi, direttore della collana Piacenza in grigioverde, per comunicare i pericoli e le sofferenze che gli eserciti affrontarono in quei lunghi anni, ma anche per sottolineare il coraggio di giovani uomini e di ragazzi, il loro senso del dovere e della responsabilità, nonché gli ideali che li guidarono, portandoli al fronte, dove moltissimi di loro incontrarono una morte dolorosa, per conquistare, spesso in modo precario, pochi metri di terra.

I fili di ferro spinato attorcigliato e pieno di nodi, a cui sono assicurati campanellini di allarme, ricordano, per esempio, quanti cercarono di aprirsi un varco negli sbarramenti creati dai nemici. Pinze, cesoie e lance taglia reticolati, usate a tale scopo, sono esposte in vari modelli con il cartellino che ne indica la provenienza: Francia, Gran Bretagna, Russia, Italia, Austria – Ungheria … per dire che tutti i soldati affrontavano stessi problemi e situazioni simili.

Ed è questo uno dei messaggi che aleggia in ogni vetrina, accompagnato in sottofondo da significative note musicali.

Lo si ritrova anche nei cartelloni che raccolgono le immagini dei protagonisti della Guerra. Esse appartengono all’Italia, alla Germania, alla Francia, alla Serbia, al Belgio, al Vaticano, agli U.S.A., alla Turchia, al Giappone.

Non solo preoccupazioni e pericoli erano in comune, ma anche le idee e le innovazioni circolavano da un campo all’altro, sia che si cercasse di migliorare la condizione e la sicurezza dei militari – non sempre con successo, come nel caso della protezione in acciaio che si cuciva all’interno della zona frontale del berretto degli ufficiali e la cui efficacia non era sicura – sia che si creassero nuovi e più sofisticati strumenti di morte.

Studi e innovazioni, però, non sostituivano del tutto antiche usanze:

una gabbia per la custodia e il trasporto dei piccioni viaggiatori del servizio ricorda prassi consolidate, come l’uso di tali animali per trasmettere ordini e informazioni, mentre, poco distante da quella gabbia, trovano posto le idee e i perfezionamenti che nel 1832 l’allora luogotenente Giovanni Cavalli, famoso per i suoi studi nel campo dell’artiglieria, propose e realizzò per il gittamento dei ponti d’equipaggio.

Queste e molte altre ancora le testimonianze della mostra sulla Grande Guerra … ma ad un tratto, proprio in mezzo ad esse, si legge una scritta di speranza e di augurio – forse anche il pensiero di quanti allora morirono:

 

© Antonina Orlando 17 Dicembre 2018

PALAZZO GOTICO PIACENZA – 1918 – 2018 CENTENARIO DELLA FINE DELLA GRANDE GUERRA

LA RICORRENZA DEI DEFUNTI (dai ricordi di Anna)

LA RICORRENZA DEI DEFUNTI – I crisantemi a bagno nelle bacinelle – macchia di colore in un angolo della terrazza – avevano varia forma, e molti petali erano raccolti su se stessi, quasi in un abbraccio che costruiva batuffoli colorati. Ve ne erano di bianchi, di rossi, di viola, di arancio e di gialli; alcuni di una monocromia più o meno intensa, altri che sfumavano in venature contrastanti o su tinta … tutti adagiati sulle loro foglie verdi.

Le variazioni cromatiche tenui o intense si associavano al profumo non forte, ma dotato di una nota caratteristica, e tutto l’insieme ricordava all’animo la ricorrenza dei defunti.

Quelli che altrove sono fiori da regalare in momenti di allegria, lì e in quegli anni, cominciavano ad imprimere ad Anna l’immagine dei cimiteri e della ricorrenza dei morti.

A poco a poco, Anna stava imparando che bisognava recarsi in visita ai parenti defunti.

Tutte le volte che entrava in cimitero, sentiva il silenzio avvolgere la sua persona e i suoi pensieri; esso era disturbato soltanto dal lieve calpestio di chi si muoveva fra le tombe e da un parlottio sussurrato .. segni di rispetto per la pace di quanti vivevano lì e per il raccoglimento di chi, accanto alle loro tombe, lasciava trapelare tristezza o conformità alle usanze tramandate.

I bimbi imparavano doveri, facevano domande sottovoce, osservavano i gesti degli adulti e il brulichio incessante attorno alle tombe, circondate da preghiere, commenti, curiosità, ricordi, racconti trascorsi sulla bocca di generazioni.

La fragranza che il rosmarino emanava dalla siepi lungo la strada, il linguaggio del cielo, pur qualche volta illuminato dal sole, le tinte autunnali, il tepore delle giornate che ormai veniva meno e le temperature più basse che ne prendevano il posto, erano lo sfondo e la cornice da cui quel giorno, più degli altri, emergeva.

Dopo la visita ai “morticini” che l’avevano tanto attesa, alla nonna che era rimasta a casa si raccontavano impressioni ed eventuali incontri con i vivi del tempo terreno.

       La giornata era ormai sul finire e la nonna raccomandava ai nipotini di stare calmi e tranquilli, perché, a mezzanotte, i defunti sarebbero scesi loro giù in paese a vedere i parenti.

Una lunga teoria di anime che, con un lumino acceso, sarebbero passate accanto alle case e vi sarebbero entrate portando soldini e dolcini ai bimbi buoni.

Gli occhi di Anna si riempivano di lunghe e morbide camicie tenuamente colorate e di tanti profili rischiarati dalla fiamma dei lumini accesi.

Bisognava andare a letto molto presto e lasciare una scarpetta in vista.

I “morticini” non volevano essere scoperti e con un sorriso avrebbero lasciato soldini nella scarpetta e dolcini sul comodino: pere, ciliegie, mele, arance, mandarini …gherigli di noci e ortaggi vari … marzapane dolcissimo in forme naturali, dipinte così bene da sembrare vere, con frammisti gli “ossicini dei morti”, dolci di zucchero.

Felici la mattina del giorno successivo, il due di novembre, i bimbi sarebbero andati in cerca l’uno dell’altro, mostrandosi scambievolmente i doni ricevuti.

Chi ne aveva di più? Chi era stato più buono?

Le loro indagini non evidenziavano mai grosse differenze e, se qualche diversità si notava, essa era solo apparente, perché, a guardar bene, un dolcino più piccolo era compensato da un altro di dimensioni maggiori.

A pomeriggio inoltrato, infine, si univano ai grandi e, ripetendole lentamente dopo averle ascoltate, imparavano le preghiere di rito che il coro della famiglia recitava per i defunti.

© Antonina Orlando 02 Novembre 2018

LA RICORRENZA DEI DEFUNTI (dai ricordi di Anna)

“I CHICCHI DELLA NONNA”

“I CHICCHI DELLA NONNA” – In un angolo dell’Appennino ligure si trova una casetta graziosa. Essa è molto accogliente, come l’affettuosa ospitalità degli amici che la abitano e che qualche giorno fa siamo andati a trovare.

Il gioviale sorriso della coppia – emiliana lei, lombardo lui – ci è corso incontro appena giunti a Pontegiacomo, una minuscola frazione di Mezzanego, in provincia di Genova.

Zona di forte emigrazione fra XIX e XX secolo, con pochissimi abitanti e quasi sconosciuta, Pontegiacomo è posta a 423 metri sul livello del mare fra montagne poco distanti dall’Emilia–Romagna, dove si arriva dopo aver oltrepassato il Passo del Bocco.

Andreina e Volmer ci aspettavano e, dopo averci salutato festosi, ci hanno accolto negli ambienti sereni della loro caratteristica abitazione, il cui arredo prezioso, elegante e funzionale rimanda ai modi pratici, amichevoli e simpaticamente cordiali dei proprietari.

Essi provengono da terre di antica cultura con tradizioni che affondano le radici in epoche storiche lontane e in un continuo avvicendarsi di popoli. Amano viaggiare e immergersi nell’arte, nella storia e nelle tradizioni dei molti paesi che visitano, di cui, lontani dalle vie dei turisti, cercano anche di scoprire e di vivere la vita quotidiana.

A Pontegiacomo abbiamo cenato, dormito e ci siamo fermati fino al pranzo del giorno successivo, chiacchierando in modo amabile e interessante, godendo della salubrità della montagna verde e tranquilla e della fragranza dell’orto e dei fiori, fra farfalle e teneri gattini.

Non è certo mancata la cucina prelibata, ispirata per l’occasione alla Liguria, regione che ci ospitava, e all’Emilia di Andreina, in un significativo connubio fra i prodotti del mare e quelli della terra.

Abili cuochi entrambi, i nostri ospiti hanno cucinato insieme, ma ognuno di loro si è poi dedicato a qualcosa di speciale: Volmer ha preparato una squisita focaccia genovese e Andreina un ottimo piatto della più recente tradizione piacentina: “i chicchi della nonna”.

 

Preparare “i chicchi” sembra semplice, ma bisogna fare attenzione a qualche segreto.

Il loro condimento consiste in un ragù a base di verdure che, cucinate sapientemente, acquistano un sapore squisito e un delicatissimo aroma.

Il piatto va servito infine con un’abbondante spolverata di parmigiano e un buon bicchiere di vino.

Con il permesso dei nostri amici abbiamo filmato la realizzazione dei “chicchi”, a cui abbiamo partecipato in minima parte anche noi … quasi per gioco, in un clima di collaborazione familiare e laboriosa

Intorno, la vita: le erbette, raccolte poco prima nell’orto da Volmer, subito pulite e lavate, cuocevano sulla fiamma accesa del fornello, le patate bollivano nel pentolone, il profumo invitante del sugo si spargeva nell’aria e le note della musica in sottofondo rallegravano e rasserenavano l’animo; persino le condizioni climatiche partecipavano della festa, regalando un tiepido sole che scaldava l’aria e illuminava la stanza, mentre mamma gatta, miagolando fiduciosa, si avvicinava in cerca di cibo da portare ai suoi gattini: era un’atmosfera idilliaca, un quadro di sapore classico che, senza stridere, sapeva convivere con la moderna tecnologia.

E’ stato un soggiorno indimenticabile e, ringraziando la sensibilità e la gentilezza di Andreina e Volmer, mantano pubblica ora le diverse fasi della realizzazione dei “chicchi della nonna” e la ricetta della cuoca per ottenere il sugo con cui li ha conditi.

 

“I chicchi della nonna”:

 

1 – Preparare gli ingredienti.

Per l’impasto occorrono gr. 300 di farina di grano tenero, kg 1 di patate invecchiate e un pugnetto di erbette lessate.

2 e 3 – Pelare, schiacciare e impastare le patate, seguendo le raccomandazioni della cuoca.

4 – Aggiungere le erbette.

5 – Stirare la pasta fino a ottenere delle “bisce” da cui ricavare “i chicchi”.

6 – Ora “i chicchi” sono pronti per la cottura:

7 – cucinarli, scolarli e condirli.

8 Finalmente tutti a tavola!

 

Per il condimento:

“Il sugo dei chicchi della nonna è un normalissimo sugo formato da cipolla, carota e sedano tutti molto tritati e fatti soffriggere lentamente in olio d’oliva.

L’unica differenza consiste nella quantità: una piccola cipolla, due belle carote, due gambi di sedano.

Quando le verdure sono passate leggermente, aggiungere un mazzetto di aromi (rosmarino, basilico, alloro, maggiorana….. peperoncino, a piacere).

A questo punto aggiungere pomodori senza la buccia e un po’ di passata (anche i pelati vanno bene);  anche  per questi ingredienti è necessario essere generosi nella quantità.

Il sugo dovrà sobbollire a lungo.

Ai nostri giorni la panna nei sughi è una variante desueta e non più gradita.

Ricordo però che quando veniva preparato, – parlo di una quarantina di anni fa –  la panna da cucina era un ingrediente irrinunciabile.

Ciascuno si regoli, quindi, come crede!” (Andreina)

 

© Antonina Orlando 07 Settembre 2018

 

“I CHICCHI DELLA NONNA”