LE IMPIRARESSE

 

LE IMPIRARESSE 

 

“Anche nei lavori muliebri l’industria delle conterie fu tenuta in gran pregio, specialmente anni or sono. … E pensando al grande commercio delle perle, pel quale Venezia ha fama mondiale, ed ai diversi usi a cui vengono destinate, corre il pensiero a chi con tanta pazienza le passa tutte pel filo. S’intende parlare di quella piccola industria tanto diffusa fra le nostre popolane, che vien chiamata quella dell’impira perle o dell’impiraressa. … L’impiraressa che si dispone al lavoro, prende una matassa intera, la taglia per aprirla, … Da una parte il filo viene passato per la cruna degli aghi, si fa un nodo e si attortiglia il capo, (se fa un gropo e se intorcola el cao) e dal lato opposto si unisce la fine della matassa, formando una specie d’occhiello detto asola. Tutti gli aghi infilati, che dal numero di 40 possono arrivare fino al numero di 60 si tengono con le tre prime dita della mano destra, formando un ventaglio, cioè la palmeta, che viene immersa velocemente nella sèssola riempita di perle. … Meschino è il guadagno delle impiraresse pensando alla fatica materiale di queste poverette, che dall’alba a tarda ora di notte stanno sedute con la sessola sulle ginocchiaOltre che lavorare in casa, vi sono scuole apposite per le giovani impiraresse, dove la direttrice, la mistra, non soltanto insegna alle sue allieve, ma anche le paga. … (Irene Ninni, L'Impiraressa, Longhi e Montanari, 1893).

 

Quello delle impiraresse o impiraperle era un antico mestiere artigianale praticato a Venezia, soprattutto nei sestieri di Castello e Cannaregio, ma anche nell’isola della Giudecca e a Murano. Oggi esistono ancora impiraresse che cercano di tenere in vita l’antica tradizione, attualizzandola con realizzazioni creative di vario tipo, ma, proprio per questo, le loro esigenze e le loro attività sono diverse da quelle delle impiraresse di un tempo.

Mantano ha incontrato una delle odierne impiraresse in Calle de la Mandola, 3805A, a Venezia: una signora molto interessante che lavora nell’ambiente artistico del suo negozio – laboratorio, arredato con drappi rossi, espositori e specchi con cornici dorate, manufatti di diverso tipo e ciotoline ricolme di perline dai mille colori. Marisa Convento, nata a Marghera, veneziana d’adozione e appassionata collezionista di perle veneziane antiche, dopo un veloce saluto e una breve autopresentazione, si è preoccupata di ascoltare le domande che le venivano rivolte e di rispondervi esaurientemente, raccontando del suo lavoro e della storia della sua arte.

Ha spiegato che impiraresse (dal veneziano impirar > italiano “infilare”) erano  chiamate le signore che, tra l’Ottocento e il Novecento, avevano il compito di raccogliere su lunghi aghi perline di vetro prodotte a Murano, facendole, poi, scivolare nei fili di cotone inseriti nella cruna degli aghi stessi. Quando i fili erano colmi di perle, venivano sfilati dall’ago e richiusi su se stessi, formando collane che venivano impacchettate in mazzi con un numero prefissato di fili e un peso di mezzo chilo. “Il lavoro dell’impiraressa era dunque legato semplicemente all’infilatura delle perle a scopo trasporto”, – ci tiene a sottolineare Marisa – per evitare che, cadendo, si spargessero a terra e per garantirne dimensioni e qualità; per esempio per dimostrare di non essere orbe (termine veneziano > italiano “cieche”, cioè senza foro).

A lavoro ultimato, le collane assemblate venivano ritirate dalla fornace che pagava l’importo dovuto alla mistra (termine veneziano > italiano “maestra”) e che prontamente consegnava un nuovo carico.

La mistra era una figura femminile di imprenditrice che faceva da intermediaria fra le impiraresse e le vetrerie che fornivano le perle. Era lei che reclutava le lavoranti, ne organizzava l’attività (qualche volta anche in un suo laboratorio), riceveva dalle fornaci le casse di perle, il cui peso poteva raggiungere persino i novanta chili, e le consegnava alle donne per l’infilatura che doveva essere portata a termine in fretta: ogni settimana, infatti, venivano consegnate nuove quantità di perle e ritirate quelle precedentemente infilate . Era sempre lei, inoltre, a dare la paga alle lavoranti, in base al numero di mazzi completati e all’ammontare del compenso ricevuto dalla fornace, a cui detraeva una parte, tenendola per sé.

Le perle riconfezionate successivamente in mazzetti più piccoli e più maneggevoli, che servivano anche come unità di misura monetaria, venivano vendute a mercanti spagnoli, portoghesi, inglesi, francesi, olandesi, che, recandosi nelle nuove terre  esplorate, le scambiavano con oro, avorio, pietre preziose, pelli, spezie, seta e addirittura anche con schiavi.

Questa prassi fu seguita fino agli anni Sessanta del secolo scorso, dopo di che l’industria delle conterie pian piano perse il mercato e scomparve anche la figura tradizionale dell’ impiraressa.

Oggi le conterie non vengono più prodotte a Venezia, ma in molti altri paesi, come Repubblica Ceca, India, Taiwan, Giappone, dove tutte le fasi del lavoro, compresa l’infilatura, sono meccanizzate.

Le perle destinate a formare le collane si chiamavano conterie e potevano essere anche di piccolissime dimensioni. Si ricavavano da cannucce di vetro, bianche o dai colori vivaci, ed erano contenute nella sèssola, sorta di vassoio di legno, di varia misura e con il fondo concavo, costruito in casa, in genere dal marito.

Durante il lavoro che richiedeva grande pazienza ed era molto faticoso, le donne stavano sedute per moltissime ore, tenendo la sèssola sulle ginocchia.

 

Per velocizzare la produzione, aumentando così il numero dei mazzi pronti per la consegna, le impiraperle (altro modo di chiamare le impiraresse) tenevano in mano contemporaneamente molti aghi lunghi, spuntati e di varia grossezza, ognuno con il suo filo.

Le più brave riuscivano a gestire anche sessanta – ottanta aghi: li tenevano fra le dita di una mano, a ventaglio, e li immergevano nella massa di conterie contenute nella sèssola, riempiendoli abilmente con l’aiuto dell’altra mano e facendo scorrere le perle lungo i fili.

I fili usati dalle impiraresse erano sottili, dal momento che venivano utilizzati soltanto per impacchettare e trasportare le perline; oggi, invece, servendo per la creazione di gioielli ed altri oggetti, devono essere più robusti e, per facilitare il loro impiego, si ricorre a qualche espediente, come quello usato dalla nostra Marisa: crea un anellino, –infilando una piccola quantità di filo nella cruna dell’ago, e dentro l’anellino così ottenuto – “piccola estensione della cruna” – fa passare il filo da riempire con le perle.

Spesso le impiraresse cominciavano a lavorare ancora bambine (dieci, dodici anni) – ha sottolineato Marisa emozionata, mentre mostrava la vecchia foto di una bambina di circa dieci anni e faceva notare la povertà documentata dallo scatto – e andavano avanti fino a tarda età. Nelle belle giornate si riunivano in calli e campielli, aggiungendosi con la loro immagine alle note caratteristiche dell’ambiente veneziano.

Quasi tutte le impiraresse lavoravano a domicilio, pochissime in un laboratorio o dentro le stesse fabbriche di conterie ed erano pagate a cottimo; si calcola che intorno a fine Ottocento – inizi Novecento ve ne fossero in attività circa cinque o sei mila, ma, non essendo state registrate da nessuna parte, non se ne conosce il numero preciso.

La retribuzione piuttosto misera e il lavoro ingrato, in condizioni terribili, soprattutto per chi lavorava in laboratorio, fecero sì che nel 1904 alcune di loro si organizzassero per scioperare.

La produzione delle conterie fu molto importante dopo il 1797; dopo, cioè, la caduta della Repubblica di Venezia, quando declinò la produzione del vetro soffiato, in seguito ai provvedimenti presi durante la dominazione francese prima e durante quella austriaca successivamente. “Le perle veneziane” – ha detto Marisa – “non devono essere considerate un’arte minore, rispetto al vetro di Murano, ma un virtuosismo della lavorazione del vetro – date le dimensioni notevolmente più piccole rispetto agli altri oggetti”.

Con il volto incorniciato da morbidi boccoli argentati e con occhi chiarissimi dietro l’originale e simpatica montatura delle lenti, Marisa ha continuato a parlare di colonie e di commerci coloniali, di baratti e del valore monetario delle antiche conterie; di contatti con popoli sconosciuti allettati dalle perline coloratissime e dei tentativi di missionari, esploratori e mercanti di stabilire anche per mezzo di esse relazioni amichevoli nelle nuove terre, facilitandone così in molti casi la successiva colonizzazione.

Sebbene oggi il lavoro artigianale sia stato soppiantato da quello industriale e molte perle non vengano più prodotte dalle vetrerie veneziane e muranesi, tuttavia, l’impiraressa Marisa, assieme ad altre sue colleghe, cerca di far sopravvivere un artigianato di alta qualità che produce capolavori; lei stessa anzi utilizza ancora perline originarie muranesi di fine ottocento o dei primi decenni del Novecento che erano rimaste invendute nei magazzini o che si è procurata dalle ex colonie in America, dove ancora ne sono rimaste dai vecchi commerci e dove vengono utilizzate per restaurare antichi ornamenti.

Con soddisfazione, alla fine dell’incontro ha mostrato una scatolina rossa che tiene in vetrina e che contiene un bel medaglione di vetro anch’esso rosso, su cui è inciso un leone “in maestà” (in moleca) dorato: è il premio che ha ricevuto dal comune di Venezia il 25 Aprile scorso, giorno di San Marco; ne è contenta, perché la sua dedizione viene ricompensata, e con orgoglio ci ha anticipato che quest’arte tradizionale, che ha fatto conoscere nei vari continenti la bellezza delle coloratissime perle veneziane, nata fra la fame e la povertà delle donne del popolo e alimentata dalle espansioni e dai commerci coloniali di fine Ottocento – inizio Novecento, sta per essere riconosciuta e protetta dall’UNESCO.

 

 

 

Di seguito qualche momento delle sue spiegazioni e delle sue dimostrazioni

 

Lavorazione, produzione e commercio delle perle

Il commercio delle perle veneziane

I lavori di Marisa

Il messaggio di Marisa

 

 

                                                                                                                        © Antonina Orlando 31 Maggio 2018

 

 

 

LE IMPIRARESSE

 

 

 

2 commenti su “LE IMPIRARESSE”

  1. Chiedo scusa se faccio un collegamento forse un pò azzardato, ma articoli come questo che rimettono al centro la nostra cultura, le eccellenze italiane e la determinazione ostinata per la salvaguardia della nostra identità, alleggeriscono il cuore e lo allontanano dagli affanni della attuale situazione politica!

    Forse non è un caso che la descrizione arrivi da Venezia, la Serenissima!!!

    Quindi grazie a Mantano

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